Lo Scultore di Statue Viventi

Lo Scultore di Statue Viventi

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Nella città di Eliopoli, baciata dal sole, adagiata sulle fertili rive del Nilo e incoronata dal fulgido Tempio di Aten, dimorava uno scultore di nome Theron. A differenza di altri artefici, che plasmavano immagini di dei e faraoni, Theron aveva votato la propria esistenza ad una prassi singolare: scolpire statue viventi.

Ma Theron non si serviva di pietra o legno per le sue creazioni. Egli scolpiva con gli istanti. Il suo mezzo era il tempo stesso e i suoi arnesi erano l’azione consapevole, la scelta ragionata e la coltivazione di amicizie sincere. Egli ambiva a plasmare vite che incarnassero l’atarassia, la tranquillità, e l’aponia, ovvero l’assenza di dolore: non in forma statica, bensì nel dinamico fluire dell’esperienza umana.

Credeva, egli, che ogni atto, ogni pensiero, ogni interazione fosse uno scalpello che modellava la statua della propria esistenza. Mentre viveva attentamente ogni momento, si dedicava alla riflessione sulla natura della vera felicità, desiderando di scolpire un’esistenza che amplificasse le gioie semplici e naturali e riducesse al minimo le sofferenze inutili. La sua pratica non mirava ad ottenere una forma perfetta ed immutabile, ma a creare un dinamico ed armonioso susseguirsi di esperienze.

Un giorno, una giovane scriba di nome Iset, oppressa dalle ansie per il futuro e tormentata dalla paura della morte, andò in cerca di Theron. Aveva udito narrare della sua straordinaria abilità nel plasmare vite di pace e contentezza. Trovò Theron nel suo laboratorio all’aperto, circondato da rampicanti fioriti e dai suoni soavi della città, il suo viso irradiante una calma e gentile letizia.

“Theron,” iniziò Iset, con voce leggermente tremante, “ho sentito dire che tu plasmi statue viventi. Sono angosciata dalla paura della morte e dall’incertezza della vita. Potresti scolpire una vita per me?” chiese.

Theron sorrise, cordialmente. “Ogni esistenza è una scultura in divenire, Iset,” disse, con voce ferma e rassicurante. “Ma la vera maestria non sta nello sfuggire al corso del tempo; risiede nel modellare ogni singolo istante con sapienza e intenzione”.

Poi le raccontò una storia. “Molto tempo fa,” iniziò, “c’era un regno ossessionato dal desiderio di raggiungere l’immortalità. I suoi abitanti ritenevano che solo vincendo la morte avrebbero potuto trovare la vera felicità. Costruirono tombe elaborate, eseguirono complessi rituali e cercarono elisir magici, ma nonostante i loro sforzi, la morte rimase ineluttabile, e le loro vite furono colme di ansia e paura”.

Alla fine, un vecchio scultore, saggio osservatore della vita e della morte, si presentò al re. Disse: “Voi cercate l’immortalità nella pietra, ma la vera immortalità si trova nel modo in cui viviamo”. Quindi incominciò a scolpire, non statue di forma immutabile, ma esistenze ricche di significato e scopo. Insegnò al popolo come apprezzare le gioie semplici del presente, come coltivare amicizie profonde, come vivere in armonia con la ragione e la natura. Spiegò che la morte era semplicemente la cessazione delle sensazioni, e che essa non era né buona né cattiva: temerla, non faceva che privare della gioia presente.

Mentre scolpiva queste vite, contemplava la natura della vera beatitudine, intuendo che essa non risiedeva nello sfuggire alla morte, ma nel vivere un’esistenza libera da dolori superflui e colma di gioie semplici, alla portata di tutti. Sottolineò l’importanza della prudenza nelle scelte, della giustizia nel trattare gli altri, del coraggio nell’affrontare le sfide e della temperanza nel godere dei piaceri. E mentre modellava queste vite, il regno trovò una pace ed una contentezza che non aveva mai conosciuto prima”.

Theron guardò Iset, i suoi occhi pieni di comprensione. “Il potere del vecchio scultore,” spiegò, “non risiedeva nella sua capacità di sconfiggere la morte, ma nella sua profonda comprensione della vita e del suo vero valore. Era la tranquillità interiore che aveva coltivato, unita alla sua sapienza e alla sua attenzione sul vivere virtuosamente, che gli consentì di plasmare vite piene di significato e pace”.

Iset meditò sulle sue parole. Si rese conto di essersi concentrata troppo sull’evitare l’inevitabile e sulla ricerca di garanzie di un futuro privo di sofferenze, e non abbastanza sul coltivare le risorse interiori per vivere un’esistenza appagante nel presente.

Theron invitò quindi Iset a prender parte alle sue attività quotidiane. Non le offrì soluzioni magiche o promesse di una vita senza problemi, ma le insegnò come osservare il mondo naturale, come apprezzare i semplici piaceri della buona compagnia, del buon cibo e delle conversazioni ponderate, come compiere scelte sagge basate sulla ragione e sull’esperienza, e come trovare conforto nel presente.

Mentre Iset trascorreva del tempo con Theron, incominciò a sperimentare un cambiamento dentro di sé. Le ansie e le paure che l’avevano tormentata incominciarono a placarsi, sostituite da un crescente senso di accettazione e pace. Comprese che la vera felicità non consisteva nello sfuggire alla morte o nel raggiungere un ideale impossibile, ma nel coltivare la quiete interiore, acquisendo cognizione della natura del piacere e del dolore, accettando i limiti dell’esistenza umana e apprezzando le gioie semplici e naturali della vita.

Comprese che ogni azione, ogni pensiero, ogni decisione, poteva essere uno scalpello che modellava la statua della sua vita, un contributo al capolavoro della sua esistenza. Apprese che le esperienze più toccanti non si trovano in avventure stravaganti o nella ricerca di sensazioni fugaci, ma nell’assenza di angoscia mentale e nell’apprezzamento di piaceri semplici e raggiungibili, come il tepore del sole sulla pelle, il sapore della frutta matura, la consolazione dell’amicizia e l’acquisizione di conoscenza che lenisce le paure tipicamente umane.

Iset lasciò il laboratorio di Theron con un rinnovato senso di scopo. Tornò al suo lavoro di scriba, ma ora, lo affrontava con una comprensione più profonda, una maggiore affinità con la ricerca dell’atarassia. Portava con sé la saggezza dello Scultore di Statue Viventi, un promemoria che la vera gioia non sta nello sfuggire al corso del tempo, ma nel plasmare ogni singolo istante con sapienza, intenzione, e la coltivazione di gioie semplici e naturali.

Interpretazione:

Questo racconto si serve della metafora dello scolpire statue viventi per rappresentare la ricerca epicurea dell’atarassia (tranquillità) e dell’aponia (assenza di dolore). La pratica di Theron simboleggia la capacità di coltivare la pace interiore e la contentezza, comprendendo la natura del piacere e del dolore, riducendo al minimo le ansie radicate in false credenze e apprezzando le gioie semplici e naturali, persino dinanzi alle sfide inevitabili della vita, inclusa la morte.

Principi chiave dell’Epicureismo:

  • La natura del piacere e del dolore: La storia evidenzia la concezione epicurea secondo cui la felicità non risiede nell’inseguimento di piaceri intensi e fugaci, ma nell’assenza di dolore e nell’apprezzamento di piaceri semplici e naturali. Lo “scolpire” rappresenta l’attenta realizzazione di una vita che dia priorità a queste gioie semplici e minimizzi la sofferenza.
  • Atarassia e Aponia: Questi concetti sono centrali nella storia. Lo scolpire di Theron rappresenta la ricerca attiva di questi stati dell’essere, non attraverso l’elusione delle difficoltà o della morte, ma attraverso scelte sagge e un vivere consapevole.
  • Ragione e Saggezza: Il racconto sottolinea l’importanza della ragione e della saggezza nel superare le difficoltà della vita. Proprio come uno scultore esperto pianifica con cura ogni colpo di scalpello, le persone dovrebbero utilizzare la ragione per comprendere la natura del piacere e del dolore e compiere scelte sagge.
  • Amicizia e Comunità: L’enfasi sulla connessione e sulle esperienze condivise sottolinea l’importanza delle relazioni sociali nel raggiungere la felicità.
  • Accettazione della Mortalità: La storia affronta direttamente la paura della morte, sottolineando la visione epicurea secondo cui la morte è semplicemente l’assenza di sensazione, e dunque non dovrebbe essere fonte di ansia. La vera felicità si trova nel vivere bene nel presente, non nello sfuggire alla morte.

La storia incoraggia i lettori a coltivare la propria vita interiore, a comprendere la natura del piacere e del dolore, a ridurre al minimo le ansie radicate in false credenze e ad apprezzare le semplici gioie dell’esistenza. Ci ricorda che la vera gioia non risiede nello sfuggire al corso del tempo o nell’evitare ogni sofferenza, ma nel plasmare ogni istante con sapienza, intenzione, e la coltivazione di piccoli piaceri quotidiani, dando forma ad una vita che è un’opera d’arte in sé.